Un proverbio italiano afferma che “il formaggio è la carne dei poveri”. Significa che nell’immaginario collettivo – ma, prima ancora, nella realtà quotidiana – la carne non faceva parte della dieta popolare se non eccezionalmente. Il formaggio la sostituiva, anche dal punto di vista nutrizionale, per il suo contenuto in proteine e grassi.
Inventato chissà quante migliaia di anni fa, il formaggio servì anzitutto a conservare il latte degli animali, troppo deperibile, dunque inaffidabile come risorsa alimentare (solo l’invenzione del frigorifero ha modificato il rapporto con la deperibilità degli alimenti, contro cui gli uomini hanno lottato per secoli, per millenni, escogitando tanti modi per conservare il cibo). Trasformato in formaggio, il latte dura nel tempo. La nuova risorsa è sicura, ci si può contare a lungo nel corso dell’anno.
Tipico della tradizione contadina è l’abbinamento formaggio/pane. «Pane e cacio», spiega un testo del Cinquecento, «si usa dire di due amici intimi, che si portano grande amore, come due anime in un corpo». Ma si dice anche «amici come formaggio e polenta», e in questo caso il formaggio si adatta al calore della nuova compagna, sciogliendosi in un abbraccio.
Poi il formaggio si può grattugiare, ed in questa forma entra in tante vivande. Entra nelle torte salate, negli sformati, in polpette e polpettoni. Di ogni vivanda si fa amico, tutto rende più buono e saporito. Molti modi di dire italiani sottolineano questa capacità di accompagnarsi a tutto, di adattarsi a tutto: «Formaggio non guasta sapore», «Formaggio non guasta minestra» assicurano antichi proverbi.
Il formaggio è stato anche, per secoli, il principale condimento della pasta. Combinazione geniale sul piano gastronomico, e anche nutrizionale: l’abbinamento garantisce un apporto equilibrato di carboidrati, proteine e grassi. Di questa tradizione, gli spaghetti cacio e pepe sono un esempio perfetto.