Spaghetti, cacio, pepe. Tre ingredienti. Il massimo della semplicità.
Ma attenzione: il piatto funziona solo se viene preparato in un certo modo, con cura e con pazienza, adottando piccoli accorgimenti che solo la pratica e l’esperienza possono insegnare. È questo il segreto della semplicità: fare le cose per bene, nel rispetto della misura e delle proporzioni, della materia e degli ingredienti che ci troviamo a maneggiare.
Semplicità non significa facilità. È ingenuo chi la pensa come un dato originario del nostro fare. La semplicità è frutto di osservazioni, miglioramenti, perfezionamenti progressivi.
Ciò vale in cucina come in ogni attività, manuale e intellettuale – parlare, scrivere, costruire, fabbricare… In ogni caso l’invenzione è utile, anzi necessaria. Ma a poco a poco ci si accorge che tutto viene meglio (azioni e pensieri, gesti e idee) quando si elimina il superfluo e si va all’essenziale, al senso delle cose. Il segreto della buona cucina è lavorare per sottrazione, per progressiva semplificazione: lo ricordava sempre Gualtiero Marchesi.
“Semplicità” è un carattere che riconosciamo in molte ricette della cucina italiana. È uno dei motivi del successo di questa cucina, facile da riconoscere e da capire. Di fronte a un piatto di spaghetti cacio e pepe, di spaghetti al pomodoro, di tagliatelle al ragù, di trenette al pesto, tutto sembra chiaro, perfetto. Ma non pensiamo alla semplicità come a qualcosa di ovvio e di facile. La semplicità si impara, è il risultato di saperi e conoscenze trasmesse di generazione in generazione. Non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo.