All’origine della pasta c’è un impasto di farina e acqua, talvolta anche uova, che attende di prendere una forma, un nome, un senso gastronomico. Si tratti di pasta fresca fatta in casa, o di pasta secca di produzione industriale, vi sono mani (o macchine) che modellano, allungano, allargano, tagliano, piegano, realizzando una miriade di formati diversi.
I ricettari del Medioevo e del Rinascimento ne descrivono i modelli fondamentali. I testi del Seicento hanno già moltiplicato tipi, forme, nomi, rivelandoci la fantasia e la creatività di cuochi e cuoche. “Le minestre di pasta”, scrive Paolo Zacchia nel 1636, “sono differenti secondo che le paste sono più secche e asciutte, o più fresche; e secondo che sono più grosse o più sottili. Alcune sono tonde… e di queste alcune son vuote dentro, alcune no. Altre sono larghe e distese… altre sono piccole e tonde… altre son piane, ma strette… altre son corte e grossette… altre più lunghe e più grosse… e ve ne sono di mille altre guise che poca differenza fanno quanto all’essere più o meno sane”.
Mille “guise” cioè mille forme, ma uguali nella sostanza: “poca differenza fanno”, scrive il nostro autore. Eppure…
Eppure l’esperienza insegna che i formati di pasta, se possono essere uguali nella sostanza, sul piano sensoriale non producono il medesimo risultato. Proviamo a condire diversi tipi di pasta nello stesso modo, per esempio con burro e formaggio (il condimento “classico” di ogni pasta, dal Medioevo al Settecento) e assaggiamo. Una forchettata di spaghetti non avrà l’identico sapore di una forchettata di maccheroni, o di fusilli, o di tagliatelle. La forma produce sapori diversi. E mi viene in mente il geniale esperimento di Gualtiero Marchesi, il maestro dell’alta cucina italiana contemporanea, che proponeva nello stesso piatto quattro diversi formati di pasta, conditi tutti allo stesso modo (nel suo caso, con solo olio extravergine d’oliva). L’esperimento serviva a dimostrare la diversità delle quattro sensazioni.
Ho sempre pensato che questa ricetta di Marchesi è la dimostrazione sensibile di un concetto filosofico: la forma è sostanza. La forma cioè il modo in cui le mani (con o senza l’aiuto di una macchina) hanno saputo plasmare la materia, trasformandola in cibo.
Avete mai provato a fare un “cacio e pepe” con i maccheroni? O con i tortellini?