Il formaggio da grattugiare sugli spaghetti “cacio e pepe” è indubbiamente pecorino, vista la collocazione di questo piatto in un’area geografica e culturale come quella del centro Italia, regno per eccellenza del formaggio pecorino. Ma non mancano ricette che preferiscono il sapore più dolce del parmigiano. Vogliamo considerarle “sbagliate”? Io preferisco vederle come espressione di quella straordinaria varietà di gusti che caratterizza la cucina italiana. Una cucina che qualcuno definisce la migliore del mondo – ma giudizi come questo sono sempre discutibili. Ma è fuori discussione che la cucina italiana sia la più varia del mondo: in Italia, sapori e ricette sono diverse a ogni voltata d’angolo.
Le ragioni di ciò sono geografiche e storiche. Una geografia complicata, che vede cambiare il paesaggio (e le sue risorse) su distanze brevissime. Una storia altrettanto complicata, che nei secoli ha visto sovrapporsi tanti popoli e tante culture, che hanno differenziato abitudini, tradizioni, pratiche alimentari. La ricchezza del patrimonio gastronomico italiano deriva anche da questo.
Quanti formaggi ci sono in Italia? Tra freschi e stagionati, se ne contano quasi cinquecento!
Tuttavia solo alcuni formaggi sono riusciti a ritagliarsi un ruolo definito, per così dire “strutturale”, nel sistema del pasto italiano. Sono quelli che, accompagnandosi alla pasta, hanno goduto della promozione più efficace. Per secoli la pasta è stata condita solo con formaggio grattugiato (con l’aggiunta di burro e spezie per chi poteva permetterselo): di conseguenza, i formaggi che meglio si sono prestati a questo scopo hanno goduto di un “lancio” straordinario, affermandosi come prodotti di punta nel panorama nazionale.
Il più antico è il pecorino: per molto tempo, infatti, solo il latte delle pecore (o eventualmente delle capre) fu destinato a diventare formaggio. Il parmigiano invece, che si fa col latte di vacca, è una novità del Medioevo: risale al XII-XIII secolo, quando per la prima volta si cominciano ad allevare bovini non solo per il lavoro dei campi ma anche per la produzione di carne e latte. Da allora il parmigiano diventò una valida alternativa al pecorino, soprattutto nelle regioni della pianura padana dove si praticava l’allevamento bovino.
L’alternativa pecorino/parmigiano non ebbe solo una dimensione geografica, distinguendo il centro-nord dal centro-sud dell’Italia. Fu anche una contrapposizione sociale, fra un nuovo prodotto di lusso e il prodotto più tradizionale e popolare.
Sul “cacio e pepe” ci vuole il pecorino, ma la cucina è anzitutto libertà di scegliere e di variare.