Una ricetta di spaghetti “cacio e pepe” proposta da Antonino Cannavacciuolo, reperibile su internet, include un pizzico di cannella come aggiunta ai consueti ingredienti. La variante mi ha fatto venire in mente che la cannella, assieme allo zucchero, è utilizzata in varie ricette popolari come aggiunta agli immancabili burro e formaggio per condire alcuni tipi di pasta – spaghetti, gnocchi, tortelli e altro ancora.
Sono residui di un gusto antico. Oggi, infatti, le cucina italiana riserva la combinazione dolce-speziato prevalentemente ai dolci: zucchero e cannella entrano nelle ricette di strudel dell’area alpina, in certi dolci natalizi dell’Italia centrale, in tante delicatezze della pasticceria meridionale. Utilizzarle sulla pasta oggi potrebbe sembrare una stranezza, ma appena qualche secolo fa era di grande moda. L’alta cucina italiana del Quattro-Cinquecento, così come appare nei ricettari di Maestro Martino, Cristoforo Messisbugo o Bartolomeo Scappi, letteralmente trasuda di zucchero e spezie. In parte era una questione di gusto: in quei secoli, la tendenza non era quella di separare i sapori (così come si fa oggi: “dolce o salato?” è una domanda che ci sentiamo spesso fare) bensì quella di mescolarli, di tenerli insieme. Ciascun sapore, riteneva la dietetica di quei secoli, esprime una diversa qualità nutrizionale; di conseguenza, le vivande di gusto complesso sono più ricche e complete. A questa convinzione scientifica si aggiungevano motivi di natura simbolica: le spezie e lo zucchero, prodotti costosissimi, erano un segno di distinzione sociale. Anche questo spiega l’uso addirittura eccessivo – così lo giudichiamo oggi – che per lungo tempo si fece di questi prodotti, sulla tavola dei signori. Zucchero e spezie (tanto meglio se spezie “dolci” come la cannella) furono i compagni prediletti di burro e formaggio nella preparazione dei piatti di pasta.
Quando, dal Sei-Settecento in poi, le spezie e lo zucchero diventarono più accessibili sul mercato, questo modello di cucina fu ripreso a livello popolare. Le ricette che ancora oggi lo replicano sono come dei “fossili” di una cultura scomparsa, di uno stile gastronomico che non ci appartiene più ma che ha lasciato numerose tracce negli usi locali di tante regioni italiane. Il “cacio e pepe” di Cannavacciuolo lo ripropone nell’alta cucina.